Intervista a Carmine Di Ruggiero

Ricorda quando e dove conobbe Godi?

Lo ricordo perfettamente perché ho insegnato all’Istituto d’Arte di Sorrento negli anni ‘60/ ‘62 e nell’ottobre del ‘62 sono rientrato a Napoli, quale docente al Liceo Artistico, e in quest’occasione c’è stato l’incontro con Goffredo Godi che era assistente di Domenico Spinosa; io ero allora un giovane docente.

Come appariva a voi giovani la pittura di Godi in quegli anni?

La pittura l’ho conosciuta un po’ più tardi, ho conosciuto prima l’uomo, una persona semplice, molto disponibile, aperta, un animo candido, molto pacato nel suo modo di fare e di dire, soprattutto perché l’ho conosciuto nel momento in cui lui era assistente di Domenico Spinosa, un’artista vulcanico in tutte le sue manifestazioni, un grande pittore e la figura di Goffredo che era molto più ritirata, quasi sembrava avara di parole; però si intuiva un uomo attento a guardarsi intorno.

Lei vide la mostra di Godi alla Galleria Serio nel 2002 a Napoli, e dunque ha poté valutare la produzione recente dell’artista. Quale fu la sua impressione, cosa può dire di quella mostra? Come le appare il cammino di Godi?

Certo che da quell’inizio del nostro incontro sul piano umano, sul piano dei “colleghi di scuola”, alla mostra di Serio c’è un intervallo di molti anni, dal 1962 al 2002, e naturalmente una possibilità di esperienza, di maturità, di occasioni, di mostre, in cui ho avuto modo di vedere tanti e diversi lavori di Goffredo.

Che dire a proposito della mostra: Goffredo cominciò a lavorare soprattutto nella provincia di Napoli, una provincia ricca, una provincia che ha dato frutti di grande sensibilità e d’esperienza, non a caso viene citato Crisconio. E indipendentemente dalla provincia segnalerei un De Nittis, un Giacinto Gigante, anche perché certi riferimenti non sono neanche campati in aria, se confrontiamo la luminosità degli acquerelli di Gigante con la luminosità della pittura di Goffredo. Insomma, un filo, anche se non diretto, lungo cui questa nostra cultura autentica, vera, è stata in un certo modo assorbita dalla personalità di Goffredo.

Goffredo ha un suo disporsi di fronte al paesaggio con tutta l’apertura e la disponibilità di un uomo, di un artista, che legge e trasporta sulla tela quello che vede.

Egli vive da poeta, da artista di grande sensibilità, ripeto, di fronte a quello che è il fenomeno della natura e ce lo trasmette con una tale spontaneità, con una tale sua predisposizione, una tale rapidità d’impostazione, di lettura; il colore è limpido e sereno come io vedo sereno e limpido il carattere, il modo, l’essere suo nei confronti della vita.

Il fatto che lui sia stato anche vicino a Domenico Spinosa non vorrei che passasse come un fatto secondario e di poco e scarso rilievo, certe campiture non è che mi richiamano Spinosa, ma le sento collocate in un certo ambito. Anche se in queste campiture, in queste stesure cromatiche ricche di luce, che sono tipiche della pittura di Goffredo Godi, interviene con una scrittura, con un segno che dice tutto se stesso, nello stesso tempo chiarisce, sottolinea, incide nel colore con i suoi verdi, con le sue terre, dicendo se stesso, raccontando se stesso, raccontando questo poeta di fronte alla natura. È un poeta che riesce ancora oggi, a distanza di tempo, tenendo conto dei suoi esordi, dei suoi primi lavori al Granatello, ad avere questa semplicità di visione in un mondo che ne vede di trasformazioni, di aperture, di sconvolgimenti in certi casi anche i più tristi possibili! Goffredo resta ed è un pittore, il pittore che ancora riesce ad esprimersi usando i mezzi che erano quelli di una volta, che sono ancora quelli di oggi e mi auguro che possano essere anche quelli di domani, nel senso che l’uomo non può perdere questo grande valore che è dell’artista che ancora riesce a commuoversi di fronte ad un tramonto, ad un paesaggio, ad un albero che apparentemente è semplice ed inerte, che vive una vita distaccata e diversa dalla nostra. Credo che sulla tela di Goffredo questi elementi diventino il suo modo di vedere e lui ci trasmette questa gioia di vedere quello che lui vede, sente e pensa.

È chiaro che dagli inizi ad oggi il percorso sarà stato anche più ricco di spunti, ma io vedrei la personalità di Goffredo nel suo insieme, nella sua totalità, non preoccupandomi dell’opera singola che naturalmente apprezzo e stimo, che ho visto nell’arco di una vita; mi interessa lo sviluppo, il filo che lui ha sempre tenuto strettamente tra le mani, il suo modo di leggere, di vedere la natura.

A quali altri artisti napoletani degli anni ’50 lei accosterebbe Godi?

Non m’interessa fare paragoni, è superfluo. M’interessa l’opera, mi interessa quest’uomo dalla partenza, sul piano umano molto poco fortunata del periodo bellico; io pure ne sono un prodotto,ma se noi volessimo fare questa analisi vedendo Goffredo comparato, misurato, faremmo un’operazione di carattere riduttivo. Lui è stato allievo alla scuola di Emilio Notte; Notte è stato un’artista che a Napoli ha dato un senso di apertura notevole sul piano della cultura, sul piano della conoscenza. I Cézanne, i Renoir, il primo Picasso, si sono conosciuti e apprezzati a Napoli con la presenza e con l’insegnamento di Notte. Consideriamo che Napoli era ancora legata ai vecchi schemi post ottocenteschi e, quindi, c’era ancora un ambiente molto tradizionale in senso negativo. Quindi aver avuto l’opportunità di stare vicino ad un artista che ha fatto capire Cézanne non è poco per un artista come Godi che ha affrontato il paesaggio e letto il paesaggio filtrando tutto il cubismo e tutta la cultura post-impressionistica francese. Quindi sono lezioni che non sono passate inutilmente, sono lezioni che hanno inciso su questa generazione, la mia, che accede all’Accademia nel ’50, su quella di Goffredo che usciva dall’Accademia nel ’50. La lezione di Notte è una lezione che ha dato e sta ancora dando i suoi frutti.

Immacolata Marino


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