Intervista ad Armando De Stefano

Che cosa ricorda in particolare di Godi? Vorrei dire: della pittura, del modo di dipingere, dei suoi soggetti preferiti.

Godi è stato un amante della natura e delle cose. Certamente non le ha viste in senso fotografico, non le ha viste in senso oleografico, ricordo che strutturava la natura geometricamente come aveva insegnato Cézanne, tutto è strutturato con piani di colore e Godi ha avuto questa grande lezione che lo ha accompagnato per tutta la vita. Credo che ancora oggi sia così; quindi tutti i quadri più belli che ha fatto Godi sono un’osservazione della natura con una visione architettonica e geometrica delle cose.

Difatti, tutto quello che gli è accaduto intorno, ismi, astrattismi, espressionismi, sono cose che a lui non hanno proprio interessato, perché era fermo su queste sue convinzioni e se le è portate per tutta la vita. In questo senso è encomiabile, perché non si è fatto corrompere da sollecitazioni esterne, ha continuato a lavorare con la sua testardaggine, con la sua caparbietà. Io ricordo che certe volte su un quadro ci stava molto tempo, fino a stancarlo, perché non era mai soddisfatto e quindi ci ritornava su.

Le cose più belle sono, soprattutto, quelle visioni di paesaggi viste dall’alto, con quegli appezzamenti che spesso si vedono dall’aereo, la terra coltivata in diversi scompartimenti; io possiedo un suo quadro di questo tipo.

Poi, a tutto questo, si aggiungeva la sua grande umanità. Quando parlo di Goffredo lo definisco “un angelo”, non ho mai visto una persona più buona di Goffredo Godi. Non aveva da dire mai niente, sì qualche volta si arrabbiava, aveva delle in cornature, ma così, astratte. Però non parlava mai male di nessuno, viveva in questo suo mondo, lo coltivava, lo amava, niente poteva distrarlo.

Forse adesso inserirlo in tutti i fenomeni che si sono alternati dal dopoguerra ad oggi sarebbe difficile, ma che ci importa? Che interesse c’è, che ragione c’è di trovare per forza una collocazione? Lui è se stesso, può piacere e non, ma piace a molti.

Godi è stato anche un buon ritrattista, ha interpretato molto bene i caratteri, le fisionomie anche dal punto di vista psicologico, sempre con questa sua pittura di costruzione, perché lui non era pittorico, ma costruiva geometricamente le forme e così i ritratti, i paesaggi, le nature morte.

Siamo stati insieme per quattro anni all’Accademia di Napoli e ricordo che le sue condizioni economiche erano piuttosto precarie,ma… È una persona squisita, non ho parole per descriverlo perché per me è umanamente qualcosa di eccezionale e apprezzo anche questa sua testardaggine di essere legato a questo suo mondo naturalista, questo suo amore per le cose, per gli oggetti, per i paesaggi, per le immagini.

Il quadro astratto certe volte potrebbe essergli capitato per l’allargamento della sua visione e costruzione geometrica delle cose, per cui poteva superare i limiti di una descrizione per arrivare poi a delle stesure di colore che non avevano nessun riferimento con l’oggetto, ma era sempre quella visione geometrica delle cose che lo poteva portare anche all’astrazione.

Ma è un caso unico; se io scrivessi di lui direi che è un caso unico, eccezionale, nel panorama degli artisti italiani, perché non ha guardato in giro, non si è fatto corrompere dal fascino delle avanguardie, ha continuato la sua linea con molta coerenza, con molto rispetto, a guardare le cose proprio scientificamente come erano costruite, i rapporti di colore con un’attenzione eccezionale: questo è Goffredo Godi.

Quindi, vi siete conosciuti all’Accademia delle Belle Arti di Napoli?

Si, noi ci siamo iscritti all’Accademia al corso di pittura di Emilio Notte nell’anno scolastico 1946-47 ed eravamo solo io e lui in un paio di stanze giù in cortile, ricordo che non c’era più nessuno, solo dopo subentrò qualche altro allievo.

Com’ era considerato Goffredo Godi allora?

Non saprei, perché noi rispetto ai ragazzi di oggi, non esponevamo, pensavamo soltanto a studiare. Emilio Notte non voleva assolutamente che noi esponessimo durante la formazione, riteneva opportuno far esporre solo quando si fosse raggiunta una maturità e una convinzione, per evitare di ritrovarsi, poi, gli errori dovuti all’ingenuità e all’inesperienza.

Secondo lei qual è il “terreno” elettivo di Godi? Intendo dire: il paesaggio? La figura? Il ritratto?

Io ritengo il paesaggio, non perché non sappia fare la figura, intendiamoci, però il paesaggio gli consente una visione della natura in una maggiore libertà.

Ripeto, è stato un amante della natura, lui ha avuto questa grande lezione di Cézanne, da Cézanne nasce il cubismo fino alle forme più avanzate, ha visto la natura sotto forma geometrica, una lezione che lo ha accompagnato e che ancora oggi, credo, lo accompagni.

A quale altro artista napoletano della sua giovinezza lei lo accosterebbe?

Non lo rapporterei a nessuno, ribadisco. Lui ha avuto la lezione cézanniana e l’ha avuta confermata da Emilio Notte, questa è stata la sua scelta. Poi, allargando questa sua formazione geometrica, poteva arrivare pure al quadro astratto; però Godi trae riferimento dalla natura, perché ama la natura e sarebbe stato davvero un grave errore fare il pittore astratto.

Lui era silenzioso, non era un personaggio polemico e lo dimostra il suo lavoro, ha coltivato il suo mondo senza essere sfiorato da nulla, ha continuato con una coerenza e una convinzione straordinaria.

Immacolata Marino


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