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Intervista a Renato Barisani
Può dire qualcosa dell’ambiente che c’era al Liceo Artistico di Napoli, quando eravate lì insegnanti lei e Godi? Quali idee circolavano allora?
Sono stato al Liceo dal ‘46 al ‘50 come assistente di modellato e poi sono diventato incaricato alla figura disegnata nei primi anni ‘50 e fino al ‘56. In questi anni di figura disegnata portammo io e altri amici insegnanti nel Liceo Artistico una ventata nuova, anche didattica, perché invece di far disegnare fogliame di gesso, teste di imperatori romani o divinità greche, mettemmo dinanzi agli studenti le nature morte, oggetti vari, a realizzarli con varie tecniche, non solo la matita, ma inchiostro, tempera, pastelli colorati, in piena libertà.
Questo nuovo modo suscitò un grande scalpore e anche ostilità nelle mostre scolastiche, quando si esponevano i lavori nostri e quelli degli insegnanti più tradizionali, e quindi ci furono delle rotture con alcuni insegnanti e si viveva un clima un po’ agitato nei rapporti con gli altri, però noi seguimmo lo stesso il nostro indirizzo con la soddisfazione che gli allievi erano contenti di questa libertà e raggiungevano dei risultati efficaci perché alcuni erano bravi con la penna, altri col colore, altri con altre tecniche, insomma questa varietà li rendeva attratti dalla materia.
Pertanto, nel 1950 la rottura tra la tradizione e il moderno si è verificata ad opera del gruppo napoletano Arte Concreta, cioè io, Venditti, Tatafiore e De Fusco abbiamo creato una frattura totale con la tradizione, da allora il moderno si è affermato a Napoli in modo stabile perché dopo di noi sono venuti i nucleari, il Gruppo Sud e poi singole personalità.
E in questo periodo incontrai Godi che era assistente al Liceo del pittore Domenico Spinosa; mi colpì per la sua natura gentile e riservata e da allora siamo rimasti sempre amici.
Come ricorda Godi a quei tempi? Come appariva la sua pittura allora?
In quel periodo conoscevo la sua pittura, non quella “realistica”, ma quella leggermente neocubista a macchie larghe, colorate, sintetiche e quindi apprezzavo questo tipo di pittura.
Lei ricorda Godi degli anni ’50 e d’estate ad Ischia incontra Godi ormai quasi novantenne. Può notare una continuità nella sua pittura? Cosa pensa delle sue opere più recenti?
Sono ben dipinte, non è mai fotografico; ha continuato in questa libertà, geometrizza la vegetazione, alcuni dipinti sono quasi informali, fa sempre una questione di toni, di colori, di rapporti fra queste cose, non di fedeltà al vero.
Sono ben dipinte, non è mai fotografico; ha continuato in questa libertà, geometrizza la vegetazione, alcuni dipinti sono quasi informali, fa sempre una questione di toni, di colori, di rapporti fra queste cose, non di fedeltà al vero. Sono paesaggi ben fatti, di un pittore di esperienza che è rimasto fedele a questa sua visione, alternando periodi più personali e altri più aderenti al vero.
Godi è una figura d’artista che preferisce stare lontano dai riflettori. Come le appare l’artista e l’uomo?
Una rara figura, seria, riservata, che non si arrampica attraverso compromessi, attraverso altri fatti come oggi si fa. Viviamo in un’epoca dove i valori morali sono scomparsi, oggi vediamo pittori di poca esperienza che sono portati da mercanti famosissimi e miliardari; molti studiosi hanno bollato questa degenerazione e questo andazzo nel campo delle arti, dove la qualità non conta più niente, ma conta fare solo stranezze.
Godi viene a vedere le mie mostre pur facendo io una pittura totalmente diversa dalla sua. Si vede che la sua moralità è tale che conta la persona prima del pittore. Pittori di tendenze diverse, in genere, non si amano, sono ostili, invece noi ci stimiamo lo stesso, quindi si supera la rivalità e si vede l’individuo
Immacolata Marino
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