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Autoritratto |
Accade spesso di dover constatare come i bilanci storico-critici
dell'arte del '900, negli assetti fin qui delineati, siano provvisori e
carenti, certo bisognosi di verifica. E questo non tanto riguardo ai protagonisti,
che hanno sostanzialmente ricevuto la loro sistemazione, quanto relativamente
alle figure di contorno ai grandi, per le quali qualche notorietà appare
francamente usurpata e molti torti e disattenzioni restano ancora da risarcire.
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Paesaggio calabrese - cm. 70 x 50
- 1984 |
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Goffredo Godi appartiene a quest'ultimo gruppo: petit maître,
come è stato ripetutamente e autorevolmente riconosciuto, gode di una pubblica
fama assai minore di quella che gli spetta. Certo, il pittore (classe 1920)
ha avuto i suoi esegeti autorevoli, da Carlo Barbieri a Dario Micacchi,
da Franco Simongini a Riccardo Notte, compresa perfino la ventura di richiamare
l'attenzione del grande Arcangeli; ha esposto nelle maggiori rassegne nazionali,
a cominciare dalle Quadriennali, e, a un certo punto, ha avuto anche qualche
importante vendita all'estero; ma davvero non gli hanno giovato una riservatezza
e una sorta di pudore caratteriale, come pure una certa flemma o indolenza
meridionale, che poi indolenza propriamente non è, in quanto Godi lavora
con costanza e impegno, ma soltanto la pittura l'interessa e non la promozione
di sé, dei suoi quadri, e, per così dire, il mercato. |
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Ginestre sulla lava vesuviana - cm.
70 x 50 - 1986 |
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Vissuto a lungo alle pendici del Vesuvio, affascinato da ragazzo dalla
pittura di Crisconio (più esattamente: dalla vista di Crisconio che dipingeva
en plein air, con tanto di tela, cavalletto, tavolozza e cassetta
dei colori); allievo della scuola d'incisione su Corallo di Giuseppe Palomba,
discepolo di Cammarano; Godi fu infine, dopo la guerra e la prigionia, non
giovanissimo ma valente allievo di Emilio Notte all'Accademia di Napoli,
assai caro al maestro. Si evocano questi dati non certo per interferire
con i regesti biografici, ma per indicare come il mondo pittorico di Godi
sia vitalmente innestato nel ceppo dell'arte napoletana del primo trentennio
del Novecento. L'urgenza di dipingere dal vero, la predilezione tematica
per i paesaggi e ultimamente per le marine, il gusto di una freschezza cromatica,
di una solarità serena e ferma talvolta fino all'incantamento (forse, a
ben vedere, sono qui da scorgere l'estremo inveramento della tradizione
posillipista, come pure le radici del superamento di una mera vocazione
naturalistica), costituiscono altrettanti contrassegni di tale radicamento
partenopeo. |
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Vaso con mimose - cm. 50 x 70 - 1991 |
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Che più specificatamente può racchiudersi nella formula di un cézannismo
filtrato attraverso la più umorale e sanguigna attitudine di Notte. Eppure,
appena si approfondisca la vicenda di Godi le cose si configurano più complesse:
questo pittore, apparentemente tutto sereno e solare, ha conosciuto le sue
inquietudini e molteplici, vitali curiosità intellettuali.
Anche a prescindere dai primissimi esordi adolescenziali
nel clima e nelle cadenze linguistiche del secondo Futurismo (con
ogni probabilità recepito sulla base di un ingenuo entusiasmo per il nuovo),
va ricordato nel suo itinerario un più prossimo decennio di esperienza astratta
assai importante per l'acquisizione di un linguaggio sintetico e costruttivo,
che ha conosciuto, da parte dell'artista, il vertice di adesione nelle tele
degli anni Ottanta e Novanta, per rifluire in una maggiore adesione al vero
fenomenico, inclinante ad una definizione del dettaglio, ad una pittura
più descrittiva insomma, nelle opere più recenti.
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Torre normanna a Nerano - cm. 70 x
50 - 1991 |
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E poi la curiosità, si diceva; gli ulteriori echi ed influssi, anch'essi
fondamentali: il tonalismo di Melli e di un po' tutta l'eredità, storicizzata
e negli estremi esiti tuttora al tempo operante, della Scuola Romana (Godi
si trasferisce nella Capitale agli inizi degli anni Settanta); quel costruire
il quadro pennellata su pennellata; tono su tono: verde su verde, ocra su
ocra (e osservando con attenzione un quadro di Godi viene fatto di meravigliarsi
che in natura - e in pittura - possano esistere tante tonalità di verdi
e di ocre).
Il nostro artista affronta la tela d'impeto, senza la mediazione
dell'impianto disegnativo; è il colore che definisce le forme, restituendo
l'impatto visivo ed emozionale dell'impressione retinica. Riesce spontaneo
che in un contesto contemporaneo una pittura di questo tipo si collochi
sulla linea di confine tra figurazione e informale: vi leggi così, l'eco
di Fausto Pirandello, specie nelle figure di bagnanti e soprattutto di Morlotti
nei paesaggi: del resto, anche la pennellata di Godi rivela una sua, talvolta
rilevata, consistenza materica.
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Paesaggio rupestre di Nerano - cm.
70 x 50 - 1997 |
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Circostanza tutta peculiare, i paesaggi -specie in quelli di risoluzione
maggiormente sintetica - appaiono "qua e là cosparsi di misteriosi segni,
nascosti come camaleonti tra le foglie", come ha scritto con felice intuizione
Gino Agnese. E qui certamente - nell'apparentemente casuale e invece coerentissimo,
necessario zigzagare della pennellata rapida, sintetica, costruttiva - da
ravvisare il più riconoscibile e perdurante influsso dell'ormai lontana
vicenda astratta, e, con ogni probabilità, l'aspetto più stimolante della
pittura di Goffredo Godi.
Carlo Fabrizio Carli
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Paesaggio con macchina - cm. 70 x 50 - 1994 |
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Natura morta con fiori e frutta - cm. 50 x 70 - 1984 |
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Cave a Pontecagnano - cm. 70 x 50 - 1978 |
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Arbusti sul lapillo vesuviano - cm. 70 x 50 - 1986 |
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Cesta con frutta - cm. 70 x 50 - 1985 |
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Strada vesuviana con macchina - cm. 70
x 50 - 1980 |
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