![]() |
![]() |
![]() |
Il pittore vesuviano Goffredo Godi ha festeggiato gli ottant'anni nel suo studio di Roma, affollato di artisti e di amici. E sembrava incredulo, pareva frastornato, nel mezzo della gioiosa occasione ancor più rallegrata da qualche bottiglia d'annata, siciliana o piemontese. Ma dominava nei brindisi l'affettuoso accento napoletano; e i quadri alle pareti ne ricevevano l'afflato, i paesaggi così recuperando le brezze o le calure del giorno in cui furono dipinti, i fiori tornando ai bei tempi dei giardini, la frutta ai momenti della coglitura. Una serata da mettere in cornice.
A Napoli gli artisti di mezza età e gl'intenditori d'arte meno distratti sanno bene chi è Goffredo Godi, questo grande petit maître (così lo definì Carlo Barbieri) che vicino ai cinquant'anni se ne andò a insegnare e a dipingere nella Capitale. Ma scrivendo adesso di lui, io vorrei aggiungere dell'altro; e anche qualcosa che trovai tra libri e carte che lo riguardano, e che l'artista stesso non sapeva, perduto com'è dietro il suo cavalletto, stabile o da viaggio; posseduto com'è dalla passione per la pittura, che non gli dà tregua e lo chiama già di buon mattino, se il tempo è bello, al solito e sempre nuovo incontro con la natura, signora sfrontata in apparenza e invece gelosa della sua più preziosa bellezza, fatta di ritmi e geometrie che si svelano tra le fronde o tra le rocce o tra i petali d'una rosa, o tra le incertezze d'un orizzonte, soltanto a chi quel disvelamento veramente lo merita, se non altro in premio dell'amore speso.
E così il pittore Godi, nella tradizione del plein air, se ne va di buon'ora nei parchi, o in riva al mare, o nei Fori a caccia di queste recondite armonie. Basta un nulla, una nuvola passeggera o un refolo di maestrale, e tutto cambia, dal rosso della rosa all'ombra che l'agave regala al muro. E allora, altri impasti sulla tavolozza e la caccia riprende in tesa osservazione, sperando che alfine la signora Natura si conceda, nella luce giusta e con almeno un po' della sua grazia.
Ma siccome ognuno non è altro che la propria biografia, dicendo di Godi bisogna ricordare qualcosa della sua vita; qualcosa che valga, in sintesi, a presentarlo com'è, indifeso e spaccato all'apparenza, però saldo in realtà e capace d'una intima virtù rara tra gli artisti: quella di sapersi obiettivamente collocare nell'abissale distanza che separa un maestro da un imbrattatele. Certo, gli è gioco facile, perché i suoi quadri più riusciti sono lì a testimoniare la loro eccellenza. Ma tant'è, la sconcertante pratica dell'umiltà - di fronte al creato, di fronte ai grandi - si accompagna in Godi a una consapevolezza, ben custodita ed espressa solo qualche volta nei modi dell'ironia, dinanzi alla quale non c'è da batter ciglio.
Ebbene, la vita di Godi a dirla in due parole è il bel sogno d'un ragazzo di tredici anni che, nato ad Omignano in provincia di Salerno, resta incantato un giorno nel vedere, sulla porticese spiaggia del Granatiello, Luigi Crisconio che dipinge una marina. Diventar pittore? Fare l'artista? Godi era di una famiglia povera, che però strinse la cinghia e l'iscrisse - due anni dopo l'incontro con Crisconio - alla Scuola d'Incisione su Corallo di Torre del Greco, un distinto istituto d'arte, nel quale ancora insegnava Giuseppe Palomba, prediletto allievo di Cammarano. Studia, disegna, dipinge e per aiutare la barca domestica lavora da sarto; finché nel '46 a vent'anni è chiamato alle armi e inviato sul fronte occidentale, ai confini con la Francia, da dove poi passa - fante del 67° , divisione "Legnano" - a quello d'Albania, soldato coraggioso in camminamenti innevati, dove si muore di freddo oltre che di mitraglia. È rimpatriato per esser curato di un congelamento; e poi è mandato nuovamente in Francia, dove è catturato dai tedeschi, nelle cui mani resta due anni a Limburgo, in un campo di prigionia che ancora oggi incendia i suoi ricordi e infuria nei suoi discorsi, che s'impennano in assoluti di spietatezza, di disperato coraggio, di silenziose abulìe; e di fame, una fame anche beffarda, che abbattè per primi due giganteschi corazzieri e alla quale lui sfuggì grazie al talento di ritrattista, che mosse i kapò a dargli qualche patata extra razione. Tornato a Napoli a ventisei anni, fu il meno giovane degli allievi di Notte all'Accademia. Poi, professore del Liceo Artistico e assistente di Spinosa; e pittore titolare d'una diffusa stima, che si coglieva nella discrezione di sicure competenze, lontano dai baracconi del successo, verso il quale Godi ha un'indifferenza naturale, messa in luce, da tutti quelli che hanno scritto di lui, da Micacchi a Franco Simongini.
Una volta, a Leon Giuseppe Buono, che alla fine del '45, scovatolo in un terraneo di via dei Cortili ad Ercolano, dove era passato per caso, gli disse «voi siete così bravo e vi trovate in queste condizioni?» ; e gli diede appuntamento per il giorno dopo da Maresca, accorsato mercante di quadri al Rettifilo; il quale, esaminate due o tre pitture concluse «bene, bene, ci penserò io a farvi un mercato; ma vedete, vedete questo paesaggio? Ecco, dovete d'ora in avanti dipingere così, come dipinge Nicola De Corsi» ; e si ebbe una risposta impacciata, ma chiara, che spense l'incontro: «Vi ringrazio, ma sapete... Insomma, quello è De Corsi, che per me è un pittore commerciale; e io sono Godi e dipingo non già per vendere bensì per il piacere di dipingere» .
Una vita modesta, appartata, e felice; e costellata di occasioni d'oro, incredibilmente trascurate. Invitato alla Quadriennale romana del '56, Godi vede acquistato un suo paesaggio, "Il Bosco di Portici", da una galleria americana. Gli scrivono da New York la "Salomons" e la "World House" del ben noto signor Mayer, chiedono foto di alte opere per avviare un rapporto; che però svanisce in un mulinello di ritardi, lettere perdute, equivoci di traduzione, banali dimenticanze. E lì, alla Quadriennale, quello stesso "Bosco di Portici", che ora è in America chissà dove, viene notato da un grande critico, Francesco Arcangeli, che ne scrive al numero uno dei critici dell'epoca, Roberto Longhi, affinchè inviti Godi alla Biennale di Venezia.
Ebbene, volete sapere? Goffredo Godi, che non ha mai conosciuto Arcangeli né Longhi, lontani mille miglia dalla sua operosa separatezza, ignora ancora adesso d'essere stato al centro di tanta attenzione. Glielo dirò io, che di tutto, per un fortuito caso, ho trovato traccia alla pagina 326 del carteggio Longhi-Pallucchini, pubblicato l'anno scorso dalle Edizioni Charta, di Milano. E ditemi voi, in conclusione, se per i suoi ottant'anni non merita gli auguri più fervidi un pittore così, tanto schivo; un pittore - e so bene quel che dico - i cui migliori paesaggi rivaleggiano con quelli di Morandi, che in buon numero ognuno può ammirare nella Civica Galleria di Torino.
Gino Agnese
Notte | Contributi | Home | Carli |