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MAESTRO del paesaggio è Goffredo Godi, un artista fortificato da una poetica modestia, la quale ancora oggi che egli ha passato i settant'anni, lo esorta, lo induce, lo incalza alla sperimentazione, alla ricerca dell'optimum, che in pittura ti seduce e ti sfugge, mutevole com'è di attimo in attimo, sempre in movimento com'è sul carro delle ore. Questa ricerca, intendiamoci, è tutt'altro che un brancolare nel buio, poiché avviene nel ben definito campo di una figurazione di derivazione impressionistica, nell'ambito d'una maniera alla quale Godi si tiene fedele (sia pure con qualche incursione compiuta in altri modi e domini pittorici) dalla seconda metà degli anni Cinquanta: cioè da quando era ancora vicino ad Emilio Notte, che l'aveva guidato nell' Accademia di Napoli.

Ma pur operando tra i confini sicuri di un universo prescelto, il conseguimento dell'optimum, o del miglior risultato possibile, resta tuttavia un'avventura: inebriante sì, ma incerta fino all'ultimo, e sfibrante. Le nuvole corrono nel cielo, le foglie e i fiori secondano percettibilmente i giochi del sole e del vento, la luce si dona alle colline con grazia imprevedibile, le ombre si allungano e si scorciano vicino al cavalletto e più lontano, dove la solita siepe leopardiana qualcosa dal guardo esclude. E Godi, pittore en plein air, ha un bel daffare nella scena mutevole della natura; la quale le si offre come ineguagliabile seduzione, come ineffabile ispirazione, ma anche come termine dialettico, come avversaria che non vuole farsi catturare, perché essa è matrigna e dominatrice (ancora Leopardi) e dunque non accetta d'essere imprigionata in un rettangolo di tela.

Ecco perché i paesaggi di Godi suggeriscono ognuno l'idea d'una battaglia vinta, d'una competizione conclusa, d' una vittoria riportata dal pittore. Il quale poi alla fine, nel fiammeggiare dei suoi inconfondibili verdi, nell'ammirevole varietà dei suoi azzinii e nel concerto delle terre e dei gialli, nasconde misteriosi segni, che possono sembrare antiche chiavi, o lettere dell'alfabeto, o simboli matematici: e sono invece, tutt'insieme, le formule segrete per mezzo delle quali Godi, questo Crisconio del Duemila, ha piegato il paesaggio alla doma della sua invenzione.


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