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Ci sono pittori per i quali le parole molto spesso sono come un vestito di cerimonia: le « indossano » nelle circostanze giuste, le esibiscono nei momenti di malinconia. Ve ne sono altri, poi, che non hanno bisogno di abbigliarsi di parole per essere riconoscibili, per essere riconosciuti. Per questi ultimi, le parole troppo spesso sono d'impaccio, costringendoli nei limiti di schemi prevedibili e già tutti preordinati. Questi pittori amano il silenzio della Pittura: quegli attimi felici in un rapporto che non prevede interferenze, distrazioni, tradimenti. Goffredo Godi appartiene a questa categoria privilegiata per uno stato di grazia in cui continua a vivere. Per altri versi però fa parte poi di una categoria che più di altre paga per la propria scelta di libertà.

La pittura di Godi è stata nel tempo, e continua ad esserlo oggi, solo una scelta di esistenza, una maniera di sapersi guardare dentro, e allo stesso tempo un saper guardare le cose del mondo attraverso una lente che, nel suo caso, non ha niente di deformante: è lo specchio del suo stesso essere nel mondo.

Godi è un pittore di piccoli incanti, di quelle visioni che non pretendono furori, che non prevedono eroismi, ma soltanto l'assoluto piacere di confrontarsi con la Natura, di dialogare con la Pittura.

Nei suoi paesaggi, nelle sue « nature » , come nei suoi ritratti, tutto è giocato attraverso quello stato di grazia fatto di semplice, solitaria, silenziosa osservazione. Gli attimi di felicità della pittura di Goffredo Godi compensano una vita fatta di esperienze di segno negativo, di contenuto doloroso. In altri queste storie avrebbero portato ad uno scetticismo senza ritorno... La pittura lo ha salvato, ed è diventata la sua compagna fedele, sempre bella, con la quale si accompagna con orgoglio.

Michele Bonuomo


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