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Di Goffredo Godi, ovunque e ogni qual volta il discorso cada su di lui, uomo e pittore, prima ancora della sua tavolozza e delle opere che mi restano impresse nella meoria, rievoco il mesto sorriso e quella bontà dignitosa che è già di per sé argomento umano e dimensione sociale. Confesso che, allo scadere di circa un trentennio di attività, questo particolare modo di sentire un artista è per me abbastanza raro: più spesso capita di concentrare l'attenzione sul lavoro che non mente e di sentire in esso la verità di uomni complessi che si specchiano nel mistero della pittura e solo lì sono sinceri, in sintonia con l'universale umano. Perciò tanto vale richiamare alla memoria l'opera, prima ancora che i tratti di un volto, le note di una voce o la sostanza di un'umiltà che è vera grandezza. Ed è proprio l'umiltà che caratterizza Goffredo e lo rivela grande e coerente al punto che tutti concordano sulla validità delle sue proposte, sulla competenza, sul mestiere che i Maestri che hanno guidato la sua generazione già riconoscevano e valutavano positivamente, dando rilievo allo spessore del disegnatore e del colorista: le doti che caratterizzano un vero pittore. Godi è ricettivo, lirico, dignitoso, pacato in apparenza, ma intanto preso da un costante tumulto di visioni, pieno di sensazioni di luci aperte e di spazi aspri e dolci, di fuochi celati nel ventre di un vulcano e di verdi che dal fuoco esplodono gonfi di linfa, succosi di frutti. Essi sono radicati per migliaia di toni lungo pendici ampie, sulle quali lo sguardo indugia ripercorrendo incessantemente e sempre con affascinato desiderio, un panorama che ha per volta un cielo impareggiabile e dal Vesuvio corre al mare ed al respiro di un golfo esperto delle pagine più solenni della storia nazionale. La condizione degli uomini, la cronaca del dolore quotidiano, sono, in queste terre, delle stimmate che non guariscono: addirittura degenerano nel tempo e possono portare ad effetti disastrasi.



Se però la natura è provvida di intelligenza e di forte sentire, spunta rigoglioso il pensatore, il politico, il poeta, l'artista e con la tenacia della ginestra che ispirò Leopardi nel monito di un ruolo sociale, ecco che il sapore vesuviano si palesa dall'amalgama di tante civiltà e tanti umori che l'arricchiscono e, umile in tanta gloria, nasce un Goffredo Godi.



Forte e autentico artista ha sulle labbra il sorriso che giustifica le umane vicende, le interpreta sullo sfondo della natura ineffabile e, sotto il sole, annota brani di fatti umani, spazi dove le storie sbucano nella storia, dove vicende secolari si aggiungono ai grandi delusi di un rosario recente e l'uomo e l'artista, ad unguem perfettamente coincidenti, cantano l'armonia, la gloria solare, il disordine dissennato. E la denuncia non è mai fine a se stessa: nasce come monito di libertà e di democrazia. Ecco il pittore impegnato. Goffredo Godi è un istintivo: ha macerato i suoi verdi illuminati nell'orizzonte dei suoi sentimenti: è l'uomo di buona volontà che accetta il dolore e affronta la vita, è esperto di vizi e di virtù e sa comprendere e giustificare, ma non saprebbe vivere senza potersi esprimere in libertà. Godi è il pittore della libertà, ecco perché ama la luce e la vive ad occhi aperti. Il suo sogno è la vita reale, libera, vissuta in dignità di sensi e sentimenti, con serietà, come contributo e testimonianza sociale, come certezza di essere vivi nel moto, nei ritmi delle stagioni, nel corso delle stelle. E perciò non potrebbe mai essere allettato da una visione ludica o dall'effimero. C'è sangue e sudore nella fatica umana, la libertà costa troppo e non va sprecata. Ecco come si possono leggere con una chiave interpretativa semplice ed essenziale le sue possenti allusioni all'eroismo partigiano, alla sacralità dell'esempio di chi combatte per la libertà, primo baluardo per ogni umana conquista. Ci colpisce in queste opere così intense la sincerità della natura, il sereno canto solare contrapposto all'innaturale ferocia che annulla la volontà di chi dedica la vita a quelle conquiste care agli uomini umani e a quelle dimensioni in cui l'uomo è di aiuto all'uomo. Perché abbiano parlato della libertà prima di ogni altra cosa? Perché la poesia di Godi è tutta pervasa del colore della pace. Anche quando si conforta nel colloquio con la natura e resta a parlare, intimo, con un brano della sua terra o con uno spazio che gli ha carpito l'occhio e l'attenzione insieme con il sentimento.



Godi ride alla luce che non conosce prigioni. In piena luce guarda le cose esprimersi attraverso i colori suscitati e li canta allo scoperto, quando non ci sono ombre, quando la purezza abbacinata vive sotto l'apice della luce, quando tutto si rinnova nella forma e il libero fulgore grida il suo mistero. Solo il Sud sa vivere in pieno sole. E ogni Sud che grida la sua delusione si ritrova nell'abbaglio di Godi, nelle sue nature morte, nei fiori giganti solitari che esprimono tutta la loro bellezza, nei panorami che sembrano noti e sono invece tutti interiori, riscoperti attraverso la paziente e sapiente lezione di un pittore che ha tenuto e tiene aperti, gli occhi in piena luce, mentre la pigrizia o l'accidia preferiscono l'ombra.



È così, nella mancanza di verità, si perde anche la dimensione etica. Forse quell'ombra è complice di chi ci ha abituati alle discariche, ai cimiteri delle automobili, alla sopportazione di certe pastoie che offendono la natura e disimpegnano e giocano con una falsa acquiescenza, con una tolleranza che è complicità equivoca. In Godi parla il colore ed è impulsivo, ribelle incontenibile: inventa le forme, raggiunge intensità incredibili, proprio quando fa apparire le cose, quando le fa fremere, svelandole in rapidissime percezioni che si illuminano progressivamente in libertà. Cioè nella forza di un disegno che non è più visibile se non nella globalità dell'evento che è percepibile nel suo segreto solo nell'ordine della luce che rompe e ricompone ogni equilibrio. La luce regola i rapporti spaziali e la realtà è inventata nella luce, nel caldo senso di una dimensione vitale che è albero e cespuglio, salice e olmo, riconoscibili però per atteggiamento, come senso generale di un evento prima ancora che come alberi.



Vigoreggiano nelle opere di Godi gli spazi ampi, ingigantiti dal gesto cromatico che colma superfici e prospettive con rapidità, vigore, fremito, brivido addirittura. E si invertono i dati quotidiani. Il verde asfissiato nel cemento urbano viene reso evidente e canta la sua delusa libertà. Una cabina telefonica, una indicazione pubblicitaria, un muro asfittico, diventano anacronistici: la luce e il colore li investono, li deconnotano, esigono il trionfo della vita. Del resto, a questo tipo di lettura il pittore ci ha abituati con le sue opere di denuncia, con quei cimiteri di automobili che sono pretesti pittorici, ma intanto esprimono il decrepito, lo sfacelo, l'abbandono, l'assemblaggio casuale di colori che si sperdono nell'impietoso destino dei rottami. Un pittore come Godi non accetterebbe neppure lontanamente il lezioso, il gradevole, l'appariscente. Il suo discorso è forte, essenziale, istintivo e genuino, eroico, diciamo noi, per l'epica che in esso vigoreggia. Il suo eroismo consiste appunto nell'epica del forte che conosce il dovere e la moralità del quotidiano lavoro, perciò in esso si forgia cantando il senso di una foglia e di quel meravigliosamente grande che vigoreggia in un albero, in un clivo di terra e sole, in un impasto che intuisce e libera l'accenno alla sagoma. che inventa mare e golfo. che respira e sospira, che è istinto e ragione, vigore e misura. Godi è un uomo quindi, un pittore che serba il sistema comunicativo, lo orienta con la coscienza del suo colore e gli dà un codice espressivo che ha l'eticità universale del vero, del semplice, del naturale, con tutto l'istinto della libertà che non muore nella natura viva. Essa è pazienza e grandezza come appunto dimostra questo straordinario artista, nemico degli effetti, forte interprete di verità essenziali e soprattutto pittore con tutti i crismi del mestiere e con la gioia di un discorso che in tanti lustri di attività non si è mai fatto stanco. Anzi vigoreggia nell'esemplarità di una ricerca costante i cui risultati non potrebbero mai appagare un amante del sole a picco. A mezzogiorno la luce svela e rivela, apre le vie del mistero e subito la nega alla visione che si perde nella luce, fine e mezzo del discorso pittorico.

Angelo Calabrese


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