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![]() Veramente bella l'opera di Goffredo Godi. Allievo tra i più interessanti e più lirici di Notte, Godi mostrò, durante la lunga permanenza a Napoli, di aver assimilato in maniera mirabile il modulo post-futurista e cubisteggiante dell'indimenticato maestro veneziano-napoletano. Poi Godi si trasferì a Roma, dove ha continuato una carriera che gli ha dato grandi soddisfazioni e che gli ha permesso di vivere in maniera diversa la sua esistenza di artista, anche per la presenza nella Capitale di parecchi grandi pittori e perché a Roma le manifestazioni artistiche di grande importanza si ripetono con grande frequenza. Godi, che non aveva mai sacrificato l'immagine per una pittura analitica, appare in piena forma. Il pittore presenta paesaggi e marine di tale ricchezza tonale (con predominio dei verdi e degli azzurri) e di tale stringatezza figurale da apparire nel momento più felice della sua lunga carriera. Ma il fatto più significativo è che Godi non sente alcuna esigenza di complicazioni postavanguardistiche e semplifica al massimo il proprio discorso, badando soltanto all'essenzialità dell'immagine, alla sincerità del rapporto con la natura e a modificare in senso lirico i termini della realtà. Anche se i paesaggi e le marine sono laziali, situati tra la Casilina e il mare di Ostia, ci si accorge immediatamente che la memoria, che agisce da grande elemento di raccordo, ripropone ricordi di un deja vu tutto napoletano. È la Napoli dei Campi Flegrei e delle spiaggie assolate di Licola e di Lago Patria che finisce per emergere da sotto la montagna degli eventi stratificati successivamente. Il pittore se ne compiace, perché il ricordare è un po' rivivere vecchie e sopite emozioni come quelle delle innumerevoli giornate passate accanto ad Emilio Notte, un tantino istrione ma autentico grande pitore e didatta che costruì, per gli artisti napoletani giovani, il più importante trampolino di lancio. GINO GRASSI |
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