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Non a caso nel libro «storia dell'avanguardia napoletana» ho posto l'attività di Goffredo Godi nel settore degli artisti liberi, i quali, intorno agli anni cinquanta, hanno avuto un ruolo non indifferente per lo snodarsi dell'arte moderna qui a Napoli. Una funzione che per molti - con il senno del poi - è stata vista non certamente di buon occhio e anzi spesse volte è stata considerata, senza una analisi appropriata e quindi priva di qualsivoglia valore critico-storico, come non esistente.

Una realtà invece questo settore è da considerarsi. E Godi è uno degli esponenti più validi che viene a distinguersi da questo foltissimo gruppo tramite una sua particolare fisionomia determinata appunto dall'assoluta indipendenza del suo fare pittura. L'aspetto sociologico di questo settore degli artisti liberi è dato proprio dal fatto che esso abbraccia una schiera non indifferente di artisti che, intorno agli anni cinquanta qui a Napoli, ma anche potremmo dire nel resto della nazione, escludendo quei pochi dichiaratisi - a parole o di fatto - esponenti di filoni vari: neorealismo, astratto concreto ecc., caratterizzano un periodo ben specifico: basterebbe - per rendersene conto - leggere la pubblicistica dell'epoca e verificarne la veridicità.

Quindi se, agli inizi del 1950, abbiamo una partecipazione all'avanguardia, e questo senza dubbio è da porre in primo piano, dato che è soprattutto per quegli avvenimenti che Napoli riuscirà a trovare un suo spazio nazionale, non possiamo e non dobbiamo dimenticare quegli artisti che, se pur dedicandosi ancora (1950 ed oltre) ad una sorta di naturalismo, sono riusciti, non solo ad offrire dei suggestivi aspetti, ma anche ad ottenere consensi in concorsi di un certo livello; e alcuni, superando (il grado dell'informazione ha il suo peso) gli spunti dei cosidetti maestri, riusciranno a trovare una loro validità anche sul piano dell'avanguardia. Ovviamente fra questi artisti, numerosissimi, parleremo di quelli che hanno svolto un'attività e sono comparsi con buon successo in mostre a carattere nazionale e che non si sono fermati su vecchie posizioni, avvertendo nel loro iter il dubbio che li ha spinti verso nuove strade.

A questo punto nel mio libro parlavo dell'opera di Goffredo Godi che, formatosi alla scuola di Notte, pone la sua indagine tutta sulla natura, indicando con essa un suo stato idillico che va perpetuandosi in un perfezionismo di resa, attraverso una colorazione che, basandosi soprattutto sui toni freddi, riesce a cogliere gli effetti più immediati della natura. Una simile indagine, pur relegando il Godi in un settore rigorosamente soggettivo, lo ha posto in evidenza qui a Napoli per le qualità meramente pittoriche dei suoi dipinti: un tonalismo paesaggistico che, se pur mirante in vario tempo (in dipendenza del clima avanguardistico: verismo, post-cubismo e informale) alla resa della struttura che fosse diversa da quella data dalla natura, mantiene di quella le caratteristiche più evidenti.

Questa sintetica, e senza dubbio riduttiva indagine, che nel 1970 avevo attuato sull'opera di Goffredo Godi mi trova ancora concorde in quanto avendo esaminato, per questo intervento, tutto l'arco operativo dell'autore attraverso opere che tutto sommato segnano date inequivocabili, ho da riconfermare ancora una volta che il dato emergente, come nota distintiva e quindi stilistica, è l'amore per la natura che, rielaborata nel contesto della tela, diviene nota costante per un discorso più aperto su delle precipue possibilità espressive insite al concetto di naturale. Questo discorso sin dal lontano cinquantatre viene ad emergere totalmente in opere, soprattutto i paesaggi, dove la lezione degli impressionisti, soprattutto Cezzanne, è mediata da Godi per una espressione più libera che gli apre, in certo qual senso, il percorso al suo sentire e che lo distanzia da esperimenti cubo-neorealisti come erano venuti ad emergere dalle opere «La famiglia del pescatore» , o dal «Contadino che mangia il pane» per evidenziare con maggiore vena inventiva il paesaggio naturale, costruito soprattutto con il dolore che è forma dello stesso rappresentato. Questo ruolo distintivo Godi lo viene ad assumere già intorno al 53/54 tanto è vero che il pittore Domenico Spinosa dalla rivista napoletana Nostro Tempo così scriveva: «Godi è tra i più favoriti pittori giovani che oggi Napoli possa presentare. Fino a qualche anno fa gli si poteva dare atto della sua ottima preparazione tecnica effettuata alla scuola di Emilio Notte, ma il travaglio della sua formazione di artista non lasciava valutare pienamente i risultati del suo lavoro. Oggi Godi, dopo i primi successi, e incoraggiato da essi, mette a frutto il valore di quegli insegnamenti ed i risultati delle sue ricerche. La strada che il pittore si è scelta ci sembra la più convincente, anche in relazione al suo temperamento di acuto osservatore del mondo visibile e di artista, che pure non mostrandosi insensibile al fascino del colore non saprebbe trascurare il valore della forma ...» .

Questo brano, sia pure scritto da un pittore, ci dà la misura della realtà pittorico-culturale di quegli anni a Napoli e ci lascia capire come la situazione di una dialettica critica è ancora da venire, motivo questo ultimo che ha costretto, a mio avviso, molti artisti e lo stesso Godi ad affrontare le problematiche che allora si discutevano in un ambito meramente privato con la conseguenza che il raffronto dialettico avveniva tra l'artista e la propria opera. Questo processo, se da un lato portava ad un costante miglioramento della fattualità pittorica, dall'altro lato costringe l'artista ad un isolamento partecipativo che, in un certo qual senso, è di impasse alle grandi possibilità espressivo pittoriche che si individuano nelle opere del 53 al 59.

L'interessante nella ricerca di Godi, a differenza di altri pittori del momento costretti all'isolamento e quindi all'abbandono del fare pittorico, è dato proprio dal fatto che l'essere isolato, con tutte quelle caratteristiche che comporta l'isolamento, viene ad emergere totalmente dalle trame pittoriche e si offre quale componente contenutistica di un fare, estrinsecato, meditato da una fantasia ampiamente invogliata dalla natura circostante. E su queste basi i vari tentativi di allargamento della trama pittorica, parliamo appunto del periodo informale, hanno trovato un freno proprio per le qualità più intime della fantasia che ha sempre trovato una sua identità nel rapporto diretto con il dato naturale. Questo rapporto dialettico con il paesaggio, intriso di umori mediterranei quasi a dimostrazione della sua particolare ed efficace esistenza, viene ad offrirsi in questo periodo - dopo l'iniziale sbandamento dell'esilio forzato - il trasferimento dell'artista dall'ambiente napoletano a quello romano, in un'ampia gamma espressiva dove l'allargamento della trama in una più ampia stesura materico-coloristica accentua la portata significante del processo pittorico in quei rapporti appunto di nuovo valore che il paesaggio assume.

Un paesaggio colto nelle sue strutture essenziali e non certamente riduttive di una espressività estranea al dato significante della struttura stessa. Un discorso quindi aperto questo di Godi sulle nuove e forse più autentiche possibilità significanti del dato naturale.

CIRO RUJU

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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