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Ci siamo sempre interessati alle varie posizioni che hanno assunto gli esponenti
della critica napoletana nei confronti dei pittori che operano a Napoli. Abbiamo
sentito i pareri di quelli che hanno cattedra sui giornali e ci siamo resi
conto che, chi non è addetto ai lavori, poco ci capisce e poco si edifica.
Per alcuni sono pittori solo quelli che vanno alla ricerca del nuovo e pur
di stare à la page si arrangiano a presentare opere, diciamo cosi, che facciano
colpo sugli sprovveduti e contentino i loro difensori.
Per altri sono pittori solo quelli che si attengono alla tradizione pittorica
napoletana e cioè alla scuola di Posillipo o a quella si ispirano. Secondo
i primi sarebbero pittori non provinciali quelli che guardano alla Biennale
di Venezia come a un punto di arrivo e di qualifica (quest'anno, dicono,
si è voluto offrire una panoramica delle nuove ricerche e sappiamo quello
che è stato presentato); mentre sarebbero provinciali gli altri.
Mi vorrei chiedere a quale categoria appartengono quelli che operano a Napoli
senza guardare né a Venezia, né a Posillipo.
Facciamo il nome di Goffredo Godi. E' un pittore appartato, autentico,
figurativo e problematico, modernissimo e saggio. Insegna al Liceo Artistico
di Napoli e da trent'anni è impegnato alla ricerca dei valori perenni che
la forma e i colori sanno dare a chi ha animo di poeta. Non si domanda se
l'arte sia finita, perché è domanda sciocca, perché l'arte non può finire
prima dell'uomo. Lavora con accanimento su tele che abbozza, controlla,
ravviva, accetta o distrugge. Gli nascono paesi e paesaggi con accenti
di colori ora caldi e festosi, ora grigi e malinconici Figure attente,
scavate nella loro psicologia e riportate in luce con tocchi scattanti
e rapidi. La pennellata nervosa e decisa raccoglie emblemi dalle pietre,
dalle foglie, dalle ruote (simbolo della nostra civiltà tecnologica che
lui non subisce, ma trasvaluta in atmosfera di poesia: per questo non sarà
l'arte o la poesia a finire; semmai saranno pochi a capirla) e li investe
di messaggi nuovi, fuori della storia, delle contingenze che interessano
e opprimono gli uomini non liberi. Non si lascia scoraggiare dal silenzio
che lo circonda e dagli osanna a pittori meno dotati: perché guardare alla
Biennale, se non è una cosa seria? Perché prendersela con i critici che
hanno un gran daffare per stare anche loro à la page? Un pittore-pittore
come Godi sa di lavorare con onestà, con sincerità, con animo di poeta e
di galantuomo (una nota che non disdegno mai negli artisti), guarda all'antico
e sente modernamente, annovera buoni ammiratori e collezionisti: che può
desiderare di più? Il grande nome? E chi ha detto che i grandi nomi appartengono
necessariamente a grandi artisti? E' provinciale, perché a Milano non sì
parla di lui? Perché non possono essere provinciali anche quelli che operano
a Milano? Non possono cioè essere pittori dialettali? Ma ai fini della
realizzazione artistica, che valore ha? Lasciamo disquisire (forse a tempo
perso) i vari critici à la page: a noi interessa aver additato un pittore
che si contenta di lavorare in pace e di offrire testimonianze valide (per
chi è in grado di capirle) d' arte, e basta.
Bonifacio Malandrino
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