Alla luce della
maturità artistica ormai acquisita, le opere di Goffredo Godi suscitano
vivo interesse, sollecitando ad un’attenta analisi generale in rapporto
alle origini, alla formazione e alla produzione presente, nei cui aspetti
– contraddistinti dall’originalità e dall’immediatezza
espressiva nelle quali l’artista vesuviano traduce la complessità
delle sue emozioni – si intrecciano una singolare felicità
inventiva ed una insistita ricerca di ordine formale e concettuale, che tende
all’assoluto della libertà come prima e incontestabile condizione
della verità: dell’arte, in quanto stile e temi, e di se stesso.
Difatti,
classificarlo in una corrente artistica è impossibile; è
sostanzialmente un indipendente, un solitario, impermeabile ad influenze
esterne.
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La migliore
autobiografia di Godi è costituita soltanto dagli innumerevoli dipinti
da lui eseguiti in oltre settanta anni di lavoro, in essi si ritrovano i suoi
umori, i suoi entusiasmi, le sue esperienze di uomo e di artista.
Ma cominciamo
dal principio, o almeno cerchiamo di dare ordine ad una storia pittorica, che
è quella di una vita, e che continua con un’attività oggi
non meno solèrte e produttiva.
Partendo da
quella Napoli ancora immersa in un’atmosfera ottocentesca dedita ad una
pittura figurativa, di matrice accademica, che ha come riferimenti concetti
ampiamente vetusti come il verismo e la bellezza.
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Non è
inutile ricordare l’ambiente culturale in cui nascono le prime opere di
Godi, poiché in loro il dato figurativo è evidente; solo
successivamente dalle diverse lezioni di Giuseppe Palomba, di Emilio Notte e
soprattutto da se stesso con continuo esercizio, egli sviluppa un linguaggio
pittorico personale di spiccata tendenza astraente.
L’orizzonte
entro il quale si svolge il suo linguaggio pittorico è costituito dal
riferimento alla natura, cioè al mondo visibile. Non a caso si esercita
su pochi, fondamentali temi: il paesaggio, il ritratto, la figura e la natura
morta.
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Godi,
però, stabilisce un diverso rapporto con la realtà esterna; la
rappresentazione si carica di impulsi soggettivi, egli tende a coniugare
percezione con immaginazione, o meglio con una fantasia ampiamente invogliata
dalla natura circostante. La sua pittura è, infatti, intuitiva, ma non
è naturalista.
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Godi ama
dipingere quasi esclusivamente “en plein air”, in quanto, lavorando
dal vero, in continuo contatto con la natura, ne sa cogliere tutti gli aspetti
più nascosti e mobili e per questo può rinnovarsi perpetuamente.
Proprio per questo motivo gran parte della produzione artistica del maestro
è costituita dai paesaggi: Strada vesuviana con passante,
dipinto nel 1938, è tra i primi paesaggi eseguiti in giovane età
di cui possediamo l’immagine. Dipinto dal vero dal balcone della casa di
Augusto Fiengo, suo insegnante di cultura generale della scuola del Corallo, in
via Quattro Novembre a Ercolano.
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Il paesaggio,
una prediletta veduta dall’alto, permette a Godi di dominare un vasto
spazio con elementi di grande e vigoroso respiro: strada, edifici, montagne e
cielo si susseguono in un alternarsi di movimento e di quiete, di aggetti e
calme superfici. Alcuni particolari, come la figura del passante appena
accennata, evidenziano una pennellata nervosa e decisa; l’essenza
dell’arte di Godi è proprio nella concretezza delle sue immagini,
costruite con segno robusto che coglie con sintesi immediata le forme.
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La Montecatini, eseguito nel 1948 nei pressi del piccolo porto del Granatello, a
Portici, meglio esemplifica una delle caratteristiche più significative
dell’artista: l’uso della pennellata rapida, sintetica, costruttiva
e materica. Il pittore è attratto da questo luogo anche a causa della
sua predilezione per le forme geometriche; gli bastano pochi tratti per far
emergere il nucleo dell’immagine.
Non
c’è profilo netto a contenere i singoli elementi; mare e cielo
vivono di un dialogo ininterrotto che non li porta più a distinguersi.
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È
importante notare che alcuni dipinti ripetono lo stesso soggetto, come nel caso
dei paesaggi vesuviani; ciò dipende dall’importanza che il maestro
attribuisce alla ricerca pittorica più che al soggetto.
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Con La Valle dell’Inferno, vince il Premio Mancini ex aequo
con Armando De Stefano.
Godi ricorda di
averlo regalato all’ex direttore del Liceo Artistico di Napoli, Antonio
Mennella, ricevendo in cambio una sua scultura, un bassorilievo in bronzo.
Il paesaggio analogo del 1955,
è realizzato con pennellate larghe e riassuntive, senza intrugli
più o meno elaborati d’impasti, ma con purezza di colori, dai
verdi ai viola, dai blu ai grigi.
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Affronta la tela
d’impeto, senza la mediazione dell’impianto disegnativo; è
il colore che definisce la forma, costruendo il quadro pennellata su
pennellata, tono su tono e con una rapida esecuzione che spesso si riduce ad
una sola mattinata, come ben possiamo vedere in Albero vesuviano,
del 1967. In questo dipinto, come del resto in tutta la sua pittura
dal vero, non si concede al banale naturalismo, egli trasforma gli elementi del
paesaggio in un intrico di segni, che possono sembrare lettere
dell’alfabeto, simboli matematici o semplicemente forbici e sono invece
forme per mezzo delle quali Godi ha piegato il paesaggio alla sua invenzione.
Questo concetto è ben espresso nella realizzazione delle foglie di
questo albero in primo piano.
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Godi è
attratto dalla costa, dove la luce è calda e intensa, i colori nitidi e
i cieli azzurri; Granatello, eseguito nel 1973, fa parte di una
lunga serie di dipinti dedicati a questo luogo, dove si addensavano marinai e
scaricanti, tante volte rivisitato e còlto dalle angolazioni più
diverse per l’assiduo premere di un’ansia di riscoperta.
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Uno dei
principali interessi della ricerca artistica del maestro è
l’essenzialità, la semplificazione delle figure che vengono sempre
più modellate plasticamente dal colore; questa concisione formale che
conferisce comunque solidità alla figura è ben espressa nel
ragazzino messo in posa dall’artista.
La
volumetria del motivo paesistico e delle figure è spiccata e aggetta da
grandi masse tonali sulle quali ben si evidenzia la velocità della mano
che accenna a scogli, a barche e a oggetti della presenza umana sempre molto
immersi nel tessuto pittorico. Le ombre, come quelle del ragazzo sul muretto,
quelle delle figure in secondo piano riportate sulla strada e quelle delle
piccole barche sulla spiaggia, sono anch’esse colore-luce con una
qualità strutturale.
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Se osserviamo
con attenzione ravvicinata la trama della sua pennellata, non è certo
convenzionale, notiamo che segue il ritmo di un linguaggio tutto personale,
linee zigzaganti, a freccia, a modulo ripetitivo oppure tanti cerchietti,
ghirigori e lettere dell’alfabeto come ben possiamo notare nel dipinto L’osservatorio,
del 1982, la strada che porta all’osservatorio vesuviano
così come tutta la zona verde del paesaggio è trattata con questa
particolarissima «scrittura» di colore rapido e infallibile nel
tono e nel valore di luce.
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Alcuni dipinti
sono concepiti in funzione della resa di puri rapporti pittorici basati sul
colore e sulla luce. Sfascio, Archeologia moderna e Rottami suburbani,
del 1985, fanno parte di una serie di dipinti dedicati alla
realtà degradata delle periferie urbane, come quei depositi di
automobili destinate alla rottamazione.
L’artista
è fortemente attirato dall’armonia delle forme e dei colori, dalla
sovrapposizione casuale delle sagome che creano movimento; difatti queste opere
di denuncia sono soprattutto pretesti pittorici, nonostante esprimano il
decrepito, l’abbandono e lo sfacèlo urbano.
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Godi sente che
il senso profondo della natura è nel suo muoversi, progredire, cambiare
senza un attimo di sosta; sensibilissimo al labile, all’indistinto, ha
scelto come suo compito di inseguire quel movimento, in quanto eterna
variazione, poiché sa che solo in quel modo può cogliere e far
entrare in una immagine la vita della natura. Dipinti come Il laghetto di
Villa Borghese, eseguito nel 1994, rivelano appièno
questo concetto.
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La composizione
è straordinariamente complessa: quando si tenta di seguirla particolare
per particolare, ci si perde nell’intrico delle linee e dei piani;
ovunque imprevedibili spezzature e continuità.
Nel colore si
nota un’analoga ricerca di contrasti, lievi gradazioni e accordi
intrecciati, e anche la luce ha una funzione importante: non solo modella gli
alberi e il tempietto, ma è anche uno splendore penetrante e unificatore
che sembra irradiare dagli elementi.
C’è
tutto uno studio dei riflessi: non solo il cielo, gli alberi e il tempietto si
riflettono nel lago che diventa uno specchio di luce, ma anche
l’umidità provocata dal lago e i vapori atmosferici che
attraversano gli alberi si riflettono sulle acque del
lago.
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La sua personale
nota poetica traspare ora sempre più nitidamente attraverso le
vibrazioni della luce-colore.
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Dipinti come Roma
archeologica, del 2000, ci mostrano un’immagine velata dall’atmosfera
pulviscolare tipica delle giornate con molto sole.
Il colore per
l’artista è come una materia carica di energia liberatoria e
emozionale; la gamma cromatica, giocata sul contrasto dei colori ricchi di
sfumature, trasmette il senso della materia vibrante.
Dietro
l’apparente semplicità della composizione, dietro
l’immediatezza delle forme e dei colori, si cela una realtà
fortemente indagata e frutto di lunghi tempi di osservazione.
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Le sue tele
riprendono periferie di paese o architetture con i luoghi segreti e la loro
storia millenaria, senza mai cercare di sovrapporre la sua personalità a
quella del luogo o delle cose, ma assecondando l’intima
«spiritualità» di ciò che l’artista vede. È
questa l’arte dei paesaggi di Godi, un’arte che si offre per
racconti di immagini silenziose, per percezioni continuate da un angolo
all’altro di un ambiente, poiché utilizza più punti di
vista per una stessa composizione, per atmosfere intrise di luce che vengono
còlte, talvolta, miracolosamente in un istante, talvolta, catturate
attraverso sedute lunghe e pazienti, come per I giardini del Quirinale
e Il Quirinale, entrambi del 2006, esposti e poi acquistati dal
Quirinale.
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Anche in questi
dipinti nulla è immobile: lo specchio d’acqua della vasca ha le
sue pulsazioni e sfumature, il cielo puro, una delicata vibrazione di toni
eterei.
Tra gli elementi
architettonici – come il palazzo seicentesco, residenza del Presidente
della Repubblica Italiana, che si affaccia in lontananza e anche per il gruppo
scultoreo al centro della vasca – il verde degli alberi e del prato e
l’atmosfera circostante l’integrazione èassoluta.
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In Verderocca
e i Colli Albani, eseguito nel 2009, approfondisce l’uso della “prospettiva
a 180°”, già sperimentata in dipinti precedenti.
Se guardiamo con
attenzione i due estremi della tela che formano il cosiddétto cono
ottico, possiamo notare che misura 180°, in pratica quanto un angolo
piatto, questa visione così ampia gli permette di utilizzare una moltitudine
di punti di vista per una stessa composizione, per cui il paesaggio dipinto
è il risultato della sintesi di diversi punti di vista e quindi di
più paesaggi.
Il colore si
distende sulla tela in larghe zone sapientemente armonizzate e sostenute da un
rigore formale e da un magistrale ritmo compositivo. La costruzione del dipinto
mediante il solo uso del colore, come ho più volte evidenziato,
costituisce il fondamento del suo linguaggio pittorico: è il colore che
diventa forma e non già la forma a preesistere e poi a colorarsi.
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Pittore
d’istinto, Godi comincia la sua feconda attività pittorica anche
con una serie di ritratti; come per i paesaggi anch’essi nascono da
un’imprescindibile necessità di dipingere dal vero. Certamente
questa pratica pittorica ha contribuito ad accrescere capacità tecniche
ed espressive, permettendogli di infondere nelle opere la carica emotiva del
momento. I ritratti ben documentano il graduale cambiamento che apporta al suo
modo di dipingere: dal realismo istintivo ad un linguaggio più sintetico
ma non riduttivo in seguito.
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Il ritratto di Nonna
Mariuccia, firmato nel 1936, ma già realizzato un anno
prima, a soli quindici anni, è il primo eseguito con i colori ad olio.
Godi ritrae la
nonna di profilo e a mezzobusto; la donna è seduta su una sedia di legno
sulla cui spalliera poggia il braccio sinistro.
La
fisicità del corpo si staglia contro il fondo scuro e omogeneo avanzando
così verso l’osservatore.
Il ritratto
risulta estremamente realistico nella definizione fisionomica: il volto,
definito nei contorni dal contrasto con il fondo scuro, e il braccio rivelano
la carnalità imperfetta, le rughe e le vene.
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Anche ritratti
come Mio padre e Il sorriso negli occhi di mia madre rivelano un
realismo a prima vista sconcertante; si presentano, infatti, come dipinti, ma
mostrano i loro soggetti con un taglio dell’immagine e
un’attenzione ai tratti fisici tipici della fotografia.
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Mio padre,
datato 1941, è eseguito durante una licenza di convalescenza
per un congelamento ai piedi provocato in guerra in Albania.
Il volto del
padre, che rivela un’espressione sofferente, è inquadrato da
vicino. L’uomo fissa negli occhi il suo osservatore, cioè il
pittore; il quadro rimanda dunque a un colloquio a quattro occhi.
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Il colore del dipinto
presenta una particolare patina grigiastra dovuta all’uso inconsapevole
di certi colori che se mescolati si “avvelenano”, creando
così questi toni scuri; mentre Il sorriso negli occhi di mia madre
è eseguito nel 1945, appena tornato dalla prigionia.
Mise in posa la
madre per voler immortalare la gioia che la donna provò nel poterlo
riabbracciare, quando ormai non credeva più nel suo ritorno.
Il volto,
segnato dall’emozione, è illuminato da una luce debole, quella
delle lampade a sedici candele.
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In questi
ritratti, già c’è qualcosa di più, Godi scopre forme
inedite di comunicazione gestuale e di interazione dell’individuo con il
proprio ambiente. Scopre l’uomo della strada, il suo volto, il suo corpo,
i suoi gesti, il suo dolore, la sua forza, la sua capacità di
sopportazione, il suo modo di giudicare e reagire; riesce a far parlare gli
sguardi, i silenzi che registrano le ferite. Invece, dipinti come Ritratto,
del 1968, dimostrano con chiarezza l’interesse che attribuisce al colore
che, senza l’ausilio del disegno, costruisce il dipinto, genera i
rapporti, dà la sensazione del peso e della consistenza delle diverse
parti, regola in definitiva quell’insieme strutturato che avvertiamo come
“l’architettura” del dipinto. In questo ritratto sperimenta
le potenzialità costruttive in senso sintetico.
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La ricerca di
una somiglianza più profonda rispetto alla resa di una fotografia
diventa sempre più forte: infatti, i volti sono resi con
un’espressività tale da lasciar trasparire pienamente la personalità
del soggetto.
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Nel Ritratto
dello scultore Giovanni De Vincenzo, eseguito nel 1978, ritrae lo
scultore a mezzobusto.
Il dipinto
riporta in basso a sinistra una dedica dell’autore all’amico. Lo
sfondo è così indistinto da essere quasi astratto.
La posa assunta
dall’uomo non è freddo calcolo abituale, essa reca evidenti segni
di naturalezza, poiché per Godi è importante cogliere il momento
della più evidente spontaneità.
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Nella sua
produzione ritrattistica esprime témpra robusta e vibrante attraverso
forme modellate con colori intensi e corposi.
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La forza
espressiva dei personaggi emerge da pennellate energiche che plasmano i tratti
e i solchi dei visi costruendo fisionomie di forte “realismo”
psicologico, dove gli sguardi narrano vicende esistenziali, come possiamo
osservare nel ritratto della moglie, Maria, del 1986.
La donna
è stata più volte ritratta dall’artista, fissata in una
pluralità di atteggiamenti, indagata nel trascorrere degli anni fino ad
evidenziare le tracce che il tempo lascia sul volto e sulle carni.
In questo
ritratto, che mostra la donna inquadrata di tre quarti, il viso e le spalle
sembrano accarezzate da una luce vibrante; inoltre colpisce la posa naturale e
la perfetta fusione della figura con l’ambiente circostante.
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Godi dipinge dal
vero anche quando esegue gli autoritratti, li realizza guardandosi allo
specchio. È singolare che si sia ritratto così spesso; la maggior
parte di questi sono studi rivelatori, opera di vera auto-osservazione. In essi
ritrae se stesso in una varietà di stati d’animo.
In Autoritratto
con cappello, del 2004, per esempio, il cappello manifesta una
presenza forte, che non si lascia ridurre ad occasione per un gioco puramente
formale e decorativo.
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Nel 2008
dipinge, per la Fondazione Ciampi, Ritratto di Ciampi
commissionato dal Dott. Paolo Peluffo, portavoce del Presidente della
Repubblica dal 1999 al 2006 e autore di una sua biografia.
Ciampi,
rappresentato nel suo studio nella cui parete di fondo compare un quadro con il
ritratto della moglie e sulla destra un corazzière con la bandiera
presidenziale, è seduto con il capo ruotato leggermente di tre quarti,
ma lo sguardo puntato verso l’osservatore e la mano destra poggiata sulle
gambe accavallate.
Si sofferma su
particolari di grande realismo nella resa del volto, delle mani, degli oggetti
che lo circondano e, nel contempo, raggiunge una straordinaria penetrazione
psicologica del personaggio.
Il ritratto
ha l’intento di far emergere l’immagine
più intima della persona, questa è una delle tante qualità
che distingue un ritratto artistico da una semplice fotografia.
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Per Godi il
muscolo del volto più significativo è il risorio che è
adibito alle variazioni delle espressioni facciali; l’attenta lettura di
questo muscolo gli permette di comprendere con sensibile discrezione i moti
interiori celati in un volto o in un gesto.
Che Godi non si
accontenti di dipingere tutto ciò che abitualmente cade sotto
l’occhio dell’osservatore, ma sia attento ad osservare le cose, gli
spazi e le persone, unitamente in rapporto al problema dell’oggetto in
pittura, e cioè alle masse, alle campiture, ai rapporti tonali e alla
luce, è ben espresso anche nelle rappresentazioni delle figure, scavate
nella loro psicologia e riportate in luce con tocchi scattanti e rapidi.
Dipinti come La
ricamatrice e La lavandaia mostrano questa concezione.
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La
ricamatrice, che appartiene ad una serie dedicata a questo
soggetto, nasce da un bozzetto realizzato dal vero più figurativo; Godi
ricorda di averlo realizzato ad Ercolano, in Via Cortile, dove abitava.
Entrambi i
dipinti mostrano la ragazza di profilo, seduta e intenta al cucito. In questa
versione del 1952 l’immagine risulta come schiacciata, mentre la
struttura uniforme delle pennellate accentua il senso di
bidimensionalità dell’opera. Tutto è risolto secondo un
procedimento di sintesi formale, come si può osservare nella
realizzazione delle pieghe del vestito costruite per piani elementari e secondo
accordi di colore.
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Le figure, gente
umile e laboriosa, che attirano l’attenzione dell’artista, sono
“bloccate” nell’essenzialità della definizione
plastica con la stessa immediatezza con la quale sono indagati e raggiunti.
Anche La lavandaia, che fa parte di una serie, rivela questo concetto;
questa per esempio, eseguita nel 1953, è realizzata con la tecnica del
monotipo, in quanto ricavata da un disegno appena abbozzato, non permanente,
eseguito su una lastra di vetro sulla quale viene poggiato un foglio bagnato
che permette di trasferire l’immagine dal vetro alla carta.
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Mentre dipinti
come La famiglia del pescatore, del 1953, mostrano uno stile
costruttivo «en plein air» non impressionistico, ma fortemente
strutturato, cèzanniano.
L’opera
rappresenta due donne del popolo - sulla destra è ritratta la madre -
sorprese nell’intimità del loro lavoro e intanto in colloquio con
i propri pensieri.
Le figure sono
costruite per piani, mediante il solo uso del colore e anche se l’artista
non rende particolareggiatamente i suoi soggetti, si può notare come
essi non perdano di realismo e consistenza.
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Nelle sue opere
si riscontra la volontà di ridurre la massa per attribuire più
importanza al gesto, capace di dare senso all’opera. In Guardando il
mare, un quadro del 1956, Godi ritrae la madre dal balcone della
sua abitazione; l’immagine realizzata con studiate pennellate, manifesta
l’acutezza dell’artista nell’osservare e la volontà di
astrarre, ma soprattutto di semplificare.
La superficie
pittorica è suggestivamente tangibile, ma il denso tessuto del colore
appare ben distribuito, difatti ogni zona ha la propria struttura e il proprio
ritmo di trattamento.
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I suoi dipinti
rivelano una non comune padronanza nell’uso costruttivo del colore,
così apprezzato da Emilio Notte all’Accademia, come possiamo
osservare anche in Donna allo specchio, eseguito dal
vero nel 1959. Godi ritrae una giovane donna intenta a sistemarsi i capelli,
mentre si guarda allo specchio; il corpo è modellato con decisione
secondo piani costruttivi e netti che danno forza plastica alla figura e la
rendono in definitiva monumentale, mentre con il colore distingue le parti in
luce e quelle in ombra. Solo in alcuni tratti è possibile notare una
sottilissima linea che disegna i contorni facendo risaltare il corpo in modo
quasi scultorio.
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Da questo
dipinto, abbastanza figurativo, nasce una serie di dipinti più astratti,
come Guardarsi dentro; in questa versione, del 1967, ripropone
la stessa composizione in cui il dato figurativo risulta stravolto, difatti le
larghe fasce di vernice, che coprono ampie superfici, denotano subito
l’esperienza dell’artista che ha semplificato al massimo il proprio
discorso badando soltanto all’essenzialità dell’immagine.
Dunque, nella pittura di Godi coesistono due componenti: quella figurativa e
quella astratta, saldate in un discorso unitario ed equilibrato.
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Ma è
soprattutto nel vasto ciclo di dipinti dedicati ai bagnanti che testimonia la
sua capacità d’estro improvviso, di abbozzo rapido e sintetico, di
segno pronto e di accento essenziale.
Queste
rappresentazioni sono concepite soprattutto in funzione della resa di puri
rapporti pittorici basati sul colore e sulla luce; esse tendono dunque a
realizzare un ordine di valori essenzialmente formale.
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In Bagnanti
del 1981, ritrae dal vero un gruppo di figure sorprese
nell’intimità del riposo, riuscendo a tradurre in pittura la
sensazione di calma in una giornata estiva.
Le numerose
stesure di colore, imbevute di luce, rendono la superficie densa e materica, e
la luminosità è data dalle incrostazioni di colore sovrapposto a
strati.
Le figure, forse
a causa dei molti ritocchi, sono complesse e sono composte da un’ampia
gamma cromatica che va dal rosa al rosso.
L’artista
si interessa più ai giochi di luce sui corpi che ai tratti dei volti,
che sono solo accennati, mentre la pennellata risulta nervosa e decisa anche
per favorire la rapidità di esecuzione imposta dalla pratica dal vero
che richiede di essere conclusa nel giro di poco tempo.
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Inoltre, non
c’è quadro dell’artista che intimamente non contenga un
ricordo di una scena vissuta, come si può osservare nella serie di
dipinti dedicati al tema della guerra; essi assumono toni decisamente
autobiografici, poiché egli si forma nell’esperienza diretta del
secondo conflitto mondiale e ha vissuto l’orrore della prigionia e del
lager.
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Godi ricorda
ancora quel soldato tedesco che gli puntò il fucile contro per
imprigionarlo: infatti, tale figura compare in quasi tutte le versioni dedicate
a questo tema.
In Massacro,
dipinto dal forte contenuto emotivo, eseguito nel 1986, si respira
l’atmosfera della tragedia sofferta dall’artista in guerra.
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Numerosi
schizzi, come Rappresaglia del 1967 - in cui i corpi dilaniati
in primo piano appaiono come sagome anonime, completamente astratte - mostrano
che la genesi di questa tela è stata lunga e come ogni passaggio, ogni
elemento siano stati studiati prima di avere il loro posto definitivo.
L’impianto
compositivo del dipinto è sapientemente studiato e costruito; colpisce
il drammatico “realismo” del gruppo dei morti in primo piano,
mentre gli ostaggi in secondo piano rivelano una notevole espressività,
anche se non sono caratterizzati uno ad uno: è il gesto l’elemento
capace di dare senso all’opera.
Godi
fissa in alcuni la loro reazione: c’è chi inveisce contro i
soldati, chi stringe i pugni quasi per voler reagire, donne che si disperano
alzando le braccia al cielo come per cercare un intervento divino e
c’è chi porta le mani al volto per non voler guardare, componendo
così un grande repertorio tipologico della realtà umana.
Le forme sono
modellate da colori intensi e corposi e man mano che l’occhio cade in
lontananza si può osservare come le figure siano racchiuse in forme non
del tutto definite; quanto allo sfondo del dipinto, è così
impenetrabile da essere quasi astratto.
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Mentre,
soprattutto d’inverno, nello studio, esegue dipinti che rappresentano
figure danzanti, un tema che lo affascina e che ripete spesso anche per
esercizio.
In questi
dipinti l’interesse dell’artista si volge soprattutto alla resa
simultanea dei movimenti e delle azioni della folla.
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In alcune
rappresentazioni, come per esempio Ballerine e musicanti,
eseguito nel 1965, lascia da parte qualsiasi ambientazione paesistica per
concentrarsi sulla pura espressione delle forme e del colore; mentre il
più delle volte, come in Ballerine e musicisti del 1998,
si serve di una regola prospettica che lui stesso ha immaginato e creato: si
tratta di un modulo a forma di triangolo (fig.1) e le figure da dipingere
vengono collocate secondo i criteri previsti in tale triangolo.
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In
sintesi si tratta di un triangolo isoscele con vertice nel punto di vista sulla
linea d’orizzonte, bisettrice sul raggio visivo e base sulla linea di
terra. Provvedendo alla suddivisione della base in otto parti uguali, ottiene
il modulo la cui proiezione sul raggio visivo determina le orizzontali
prospettiche equidistanti.
In questo
dipinto si rivela centrale il movimento dei corpi danzanti e l’importanza
sempre più ampia rivestita dai colori, di grande varietà e
ricchezza, ricondotti a un’armonia generale di contrasti e di accordi
musicali.
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L’interesse
di Godi per i contrasti di forme e colori e il coordinamento delle une con gli
altri trova conferma nella realizzazione delle nature morte.
In questo campo
dà prova di una stupefacente inventiva, attribuendo agli stessi elementi
ruoli del tutto diversi, disponendoli sempre in modi differenti e stabilendo di
volta in volta nuovi equilibri e nuove armonie di colori, infatti i soggetti
sono quasi sempre cose abbastanza usuali come frutta, fiori, vasi, bottiglie
che, composti sul piano di un tavolo, diventano i veri protagonisti della
scena.
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In Fiorita
d’oro modella le forme senza l’aiuto del disegno,
abbozzando i contorni con decise pennellate di colore.
I fiori si
presentano come forme in azione, vive, come un grappolo di cose in crescita ed
espansione dipinte con grande libertà. In questo dipinto ciò che
lo interessa sono i piani, le consistenze e i riflessi di luce-colore.
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Anche in Natura
morta del 1985 gli elementi sono costruiti con segno robusto che
coglie con sintesi immediata le forme. In questa insistente sovrapposizione di
cose vi è la chiave della sua concezione artistica: il quadro è
una costruzione, infatti ogni frutto è un pezzo di pittura a sé,
un oggetto unico.
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Queste
composizioni attentamente studiate, così precise e raffinate nelle loro
trovate, conservano un aspetto casuale, di aggruppamento accidentale, difatti
in Natura morta, eseguito nel 2003, è difficile
immaginare un’occasione in cui questi oggetti si trovano riuniti
esattamente in questo modo; è un ordine in cui si armonizzano serie di
elementi ordinati ciascuno a modo suo.
In questo
dipinto i contrasti di forme e colori – come la fantasia della tovaglia
con la frutta disposta a caso su di essa – sono sorprendentemente
raffinati; quanto al colore, luminoso e robusto, si presenta smorzato negli
oggetti grandi, più intenso in quelli piccoli e ovunque finemente
sfumato – il prodotto di un pennello visibilmente attivo.
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Benché
gran parte dei suoi dipinti nascano da un’imprescindibile
necessità di dipingere dal vero, fortemente filtrato dal proprio stato
d’animo, e fin dalle prime esperienze convivano nella sua pittura due
anime, quella figurativa e quella astratta, saldate in un personalissimo
linguaggio pittorico, in realtà in Godi c’è anche una
specifica sperimentazione astratta che l’artista svolge in una produzione
tutta privata.
In questo caso
usa un procedimento inverso rispetto a quello nato dallo stimolo del mondo
visibile: ricostruisce sembianze umane, accenni a figure e volti, partendo da
disegni del tutto astratti, o meglio disponendo a caso macchie di colore che
suggeriscono forme che poi rende figurative.
Queste ricerche
astratte nascono dal bisogno di manipolare forme e colori senza condizionamenti
e suggerimenti da parte del mondo reale, in cui la libertà del fare sia
assoluta ed il risultato dell’opera sia frutto vuoi di ragione, vuoi di
istinti, vuoi di entrambi gli stimoli.
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Osserviamo
alcuni esempi come La bevitrice, eseguita con tecnica mista su
carta; nel dipinto si avvertono gli echi di un cubismo addomesticato, difatti
l’opera risulta come un vetro infranto con dietro un’immagine,
quella di una donna seduta con le gambe accavallate nella cui mano sinistra
stringe un bicchiere che porta verso il viso per bere.
In questa
visione sono linea e colore a giocare il principale ruolo costruttivo, sono
forme, sia chiuse da una linea di contorno, che aperte o entrambi i casi,
limitate da una parte ma aperte dall’altra.
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Anche L’occhio
indiscreto, eseguito nel 1968, presenta un’immagine
cubisticamente scomposta. Nel dipinto la figura sulla destra, costruita da
linee e colori, rappresenta quella di un curioso che è attratto dalla
coppia che si bacia, l’uomo che allunga il braccio come per voler toccare
la donna, rappresenta l’indiscrezione, è dipinto con sembianze
disumane, i lineamenti sono notevolmente deformati proprio per accentuare
l’invadenza nei confronti della coppia.
In questa
frammentazione geometrica, ad angoli vivi e curve, il colore, steso a larghe
campiture, occupa lo spazio a tinta unita, senza sfumature: questa
uniformità appiattisce le figure.
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Con Figure
astratte in movimento il dinamismo e il senso della
simultaneità futurista sono evidenti nella costruzione delle forme. In
questo dipinto Godi non vuole rappresentare semplicemente figure, ma il
movimento delle figure. I tasselli di colore tendono a rendere in termini
materici e corposi l’intreccio contemporaneo tra le figure e lo spazio.
Il quadro non ci
mostra più nulla di reale, tutto è trasfigurato, l’artista
rende con linee e campiture di colori, con puri segni, la sensazione del movimento.
In questo
apparente caos crea un ordine, gli arti hanno sporgenze, spigoli acuti,
vertici, all’altezza delle gambe vi sono forme che ricordano vagamente
dei muscoli: si tratta di una vera astrazione.
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Inoltre, sebbene
Godi ami il disegno, non è di quei pittori che nella realizzazione di un
dipinto prima disegnano e poi vanno col colore; egli comincia subito con il
colore, per cui i suoi disegni nascono soprattutto per esercitazione o per il
piacere di disegnare, ma non sono studi preparatori di un’opera in
particolare; solo di pochi si serve per la risoluzione di alcune opere.
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Bagnanti, per esempio, è eseguito rapidamente per impegnare il tempo
trascorso in spiaggia, altri semplicemente per esercizio, come alcuni ritratti,
che trasmettono l’espressione del soggetto, nonostante siano
resi con tratti essenziali. Difatti i disegni rivelano un’immediatezza di
intuizione e una trasposizione d’immagini, scarnificate al massimo,
ridotte al minimo della forma, rese con movimento rapido dalla linea, a tratti
zigzagante, a tratti morbida e fluida, quasi sempre continua, che racchiude i
volumi del soggetto rappresentato senza disegnare soltanto il particolare, ma
la nota dominante di queste rappresentazioni, come nei dipinti, è
l’essenzialità del segno, che rende immagini non certamente
riduttive perchè ben inquadrate e strutturate.
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